VOLARE OLTRE I MURI



di Nene Ferrandi



Memoria strappata da immagini ossessive, crudeli. Brandelli di dialoghi urlati, suoni stonati, pugni all’anima. Un tempo che va e non sa dove andare, un tempo senza un perché, una litania petulante di cose da fare.

Corri, Ada, corri e corri ancora, senza ascoltare il respiro, lontano da questi muri feriti, lacerati dallo schiaffo del tempo, quadri ancora vivi di colori superstiti che espongono abbandono. Muri oppressivi che non sanno tacere il tuo fallimento doloroso.



Guido Maria Filippi, Cartomante



“Vieni da me, aveva detto Lara, un tetto c’è…e poi improvvisiamo la vita…per mangiare e tutto il resto…” Incontrai i “muri” vecchi e stanchi, due stanze arruffate di quadri sbozzati, pennelli in un angolo, briciole di calcinacci e il profumo dei dolci Alemagna arrivava stridente fino a quel terzo piano. E svegliarsi con un lampo di calore umano venuto da lontano…e la moquette era bianca e soffice, un giradischi instancabile, ballate e jazz, a Roma, Monte Mario bruciato da un tramonto rosso, una mano che accarezzava anche i miei pensieri, un gelato di cocco e nocciola e giorni in altalena, sempre più in alto. Era così, era…ma la fame non sa aspettare, imponeva decisioni, senza sorrisi”.

Lara e Ada, due solitudini, due mani tese, due canti sommessi, due voli spezzati Lara dipingeva acquarelli, con colori sospesi, liquidi di nostalgia e li vendeva ai mercatini per poche lire, quelle necessarie e Ada si improvvisò cartomante e poi infilava collane e…qualsiasi lavoro.

Non riconosceva questa Milano, la Milano degli anni 80, i suoi riti, i suoi luoghi, la percezione che il tempo procuri solo i danee, la corsa per fare, per guadagnare, per spendere.. Ma, accompagnata da una solitudine al guinzaglio come un cane fedele, era tornata, dopo l’esaltazione di un amore ormai fatto a pezzi.



Giuseppe Cacciapuoti, Pittrice



“Mi dispiace, signora, ma qui c’è un “tronco” d’amore…vede il sette di bastoni? E poi il sette di coppe che simboleggia l’amore? D’altronde è da tempo che siete negli “intrighi”: il tre di bastoni parla chiaro…; era la mia prima cliente, così simile il suo percorso al mio… e mi ridevo addosso per la maschera da “strega” forzatamente indossata per l’occasione e… lo squallore, un caffè in un bicchiere, la mancia lasciata in una scatola verde, oscuravano il mio sole. I muri sghignazzavano senza pietà, rimbombavano e ripetevano con sfida una voce urlata “Tu non pensi e non parli come l’uomo di cui io possa essere la compagna…. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t’eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, ho capito di essere vissuta per otto anni con un estraneo.” No, non era Nora* , ero io con le stesse ragioni, con lo stesso orgoglio. “No, non sono una bambola che lecca le briciole d’amore, quando vuoi, se lo vuoi” E me ne andai. La pioggia brontolava sui vetri della finestra, un prato annegava nell’acqua senza ribellarsi, un uccello spaurito e tremante al riparo sul davanzale. Maledetti muri vinti, senza amore e mi dicevo “Corri Ada, corri”, ma dove?”

Il dolore dell’anima, centellinato, la sera, infilando perline e ricordi, senza un grido, senza lacrime, senza rimpianti. Visioni improvvise, emozioni laceranti, un quadro di struggente poesia, il borbottio lento del Tevere, una voce dolente che scalava imperiosa le note, che graffiava la carne e una chitarra che trillava frenetica, ma sapeva modulare le voci dell’anima.

“Gabriella Ferri cantava, infagottata di colori e pura, semplicemente macerata di roca malinconia, là, su un muretto a Piazza Navona, incantando le stelle

Quanta pena stasera.
C'é sur fiume che fiotta così
Disgraziato chi sogna e chi spera
Tutti ar monno dovemo soffri'
Si c'é n'anima che cerca la pace
Può trovalla sortanto che qui.

Er barcarolo va contro corente
E quanno canta l'eco s'arisente
Si è vero fiume che tu dai la pace
Fiume affatato fammela trovà 
(Er Barcarolo)

Quanta pena martellava ossessiva nelle notti lunghe che aspettavano il giorno, uno sgabello malfermo, il rantolo di un canarino che non sapeva cantare…ma, allora, era stata una notte di magica follia, un tempo che sfiorava l’eternità.

Continuavo a ripetere, “Corri Ada, via dai fantasmi, dalle luci oblique, dalla puzza di una povertà irrisolvibile”. E Milano pulsava energia, una corsa infinita e vibrava di folla, uomini e donne, fantocci in grigio, ognuno con il suo perché…Nella mischia, seguivo il ritmo, randagia e incolore con un perché che cercava una farfalla per volare e, sì, quel bar va bene per leggere il Corriere e le offerte di lavoro...no niente minigonna, un peccato mortale… una divorziata è senz’altro una donna facile, neppure le suore mi avevano preso in considerazione per una supplenza, nel negozio di lampadari mi bollarono come inadeguata, figurarsi loro vendevano cristalli di Murano…alla scuola serale per elettricisti andai tre mesi come bidella, al Motta di San Babila stavo alla cassa in sostituzione di una cassiera ammalata, le commesse di Montenapo con il birignao di una classe privilegiata amavano la sangria, e chi vedeva più le strade, i negozi luminosi, i glicini rampicanti, il colore del cielo… La fatica mi soffocava, le vecchie amiche “Ma che bello sei tornata..” preoccupate per l’arredamento della casa al mare, il colore della moquette, le tende di Ken Scott o di Valentino? così brillanti, giovanili, il figlio alla Bocconi, così selettiva…Ma sì, andiamo al Sant’Ambroeus a prendere un caffè…Ma davvero stai divorziando? E adesso?” Già, non si doveva...troppo recente la legge…Mondo bastardo, ipocrita, egoista.

Mi vestii d’orgoglio e di libertà, una mattina. La sfida

“Scrivo il tuo nome
Su l’assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Scrivo il tuo nome
Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l’immemore speranza
Scrivo il tuo nome
E in virtù d’una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.” 
(Paul Eluard)


Uno stato di frizzante euforia, vibrazioni di una umanità da ascoltare, le voci delle strade, i piccioni petulanti, il canto del Naviglio, la Madonnina protettiva, il sapore di un buon caffè e “quel cielo così bello quand’ è bello”.



Raffaella Losapio, Madonnina pop


“Se creare è vivere due volte, e lo diceva Camus, io volevo inebriarmi nel mio immaginario, che nessuno poteva rubarmi, un mondo parallelo senza veti o limiti: questa la chiave per vivere. E mi vedevo in quell’ufficio, a Roma, stracolmo di fumetti, di colori, di fantasia, rannicchiata dove capitava per inventare le avventure di “Andromeda” o “La donna invisibile” disegnate da lui, da quel marito che non rimpiangevo.. Vola, Ada, Vola. E accettai un doposcuola sui generis a cinque bambini, nel retro di una libreria seriosa e ricca di volumi antichi.

E’ più facile volare con i bambini, raccontare favole inventate, avventure nello spazio, viaggi esotici in paesi immaginati.. un gioco sulla corda della fantasia. “Andiamo al Ponte di Brera, c’è Sellani, questa sera e ti devo dire una cosa speciale” Il libraio, Luca, era entusiasta e anch’io, nonostante un punto interrogativo a cui dare risposta. E il piano trasfigurava il tempo, una cascata di note senza fine, MyFunny Valentine, preziosa e suggestiva.. l’adorato jazz…” Ti devo dire che un editore amico è pronto a stampare un libro con i tuoi racconti, illustrati da chi sceglierai”. Io accarezzai la sua mano, un tocco lieve e, finalmente, piansi.

*Nora, da Casa di Bambola di Ibsen


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