GRIDAVA AL SILENZIO "PARLA"

di Nene Ferrandi 

Irene gridava al silenzio “Parla”, quella sera. “Non voglio il deserto delle parole, l’abbandono del vento, l’incubo della solitudine. Sono qui,  guardo il vuoto del nulla, il freddo di un’anima fragile, il sangue della mia vita. Morirò…vorrei la pazzia, vorrei diventare l’alieno di un mondo sconosciuto”…”

Chi è Irene? Una pietra di carne, un angolo nero, un cartoccio inutile che trascorreva il tempo, condannata dal baratro di una malattia incurabile, nel silenzio disperato dell’attesa. Il treno del silenzio indifferente continuava la sua corsa. Una vita, la sua, ubriaca di parole, tenere e convulse.



Pierre Auguste Renoir, Ballo in campagna 1883

…C’erano le voci, tante voci, alla fiera del paese e aveva 16 anni, un abito a palloncino a pois rosa, perché così si usava, tacchi a rocchetto, perché così si diceva e il tripudio di una gioia che solo la giovinezza può dare. Colori, risate, saluti, ..era una festa che il cuore aveva desiderato dopo il dramma di una guerra feroce, combattuta in collina, partigiani e fascisti, fame, pane fatto in casa, il miraggio di un pezzo di carne, un brodo caldo. Tre, tre di numero, le giostre nella piazza dilatata di desideri e sogni, la processione della Madonna della Quercia, ricordata con sacrale rispetto, fino alla cappella, luogo della sua apparizione. E vibrazioni di musica, tanghi, valzer, mazurche come si conviene in un paese emiliano, per far esplodere una spensierata condivisione di gesti e di speranze. “Non so ballare”, diceva, ma i passi a poco a poco, con quel ragazzone profumato di stalla, con le mani forti e nodose, diventavano leggeri quasi sospesi… in una dimensione magica. Un amore dolce e fragile durato un anno e… baci, con la  complicità di lucciole curiose, in quella strada segreta fuori mano che si arrampicava nella pineta.

Sussurrava a quel silenzio pesante di presagi “Ti ho visto  sul viso angosciato di mia madre, nell’istante della paura, imponendo le tue regole di rispetto prima della morte. Neppure il pianto aveva voce, neppure lo strazio infinito...ho visto il tuo colore smembrare le parole, tacere, gli affetti”.

E ancora voci, anche allora, concitate, a rincorrere discorsi di miseria, di lavoro, di corpi sfiniti di fatica e sì, dicevano i vecchi, il tempo va preso per quello che dà, con sogni modesti nel quotidiano, per sopravvivere con il sorriso, un caffè con una miscela di caffè, là alla periferia di Milano, nell’orto, un privilegio dei poveri, un ciciarem un cicinin  in attesa del proprio uomo dalla fabbrica. C’era la luna con cui fantasticare, su un ritaglio di terra, sbuffando sui libri da studiare, perché si deve se vuoi vivere all’onor del mondo, diceva il padre e raccontare i sogni vestiti d’oro al compagno di mille avventure, nell’immaginario dell’impossibile. Il fascino  dell’ombra che tace, al laghetto, la notte, spogliarsi adagio, quello che si può, la vertigine dell’amore proibito, sconsacrato dai benpensanti. Le voci, i rumori della vita… lontani a richiamare la verità di un tempo che doveva finire. 


Laura Tedeschi, La solitudine (2012)

Ma la burrasca dell’anima si ribellava all’apparente calma del silenzio “Non so e non voglio sentirti così - pensava - tu non sei il silenzio delle stelle, delle montagne, dei boschi addormentati, della carezza di mia madre, del sospiro della rugiada, …tu borbotti come un animale ferito, una gabbia arrugginita di paure, un’ortica insistente senza tregua.”

…E violente apparivano le immagini di quel drammatico pezzo di vita: c’erano domande senza risposte, un fardello in testa in cerca di pace, l’attesa del buio, un angolo, quell’angolo, l’angoscia nelle ossa per procurarsi una dose e poi  abbandonare la realtà e scoprire l’alba bianca senza sole su una panchina del parco…Le voci bisbigliavano il baratto, uomini sogghignavano disprezzo, l’avidità rendeva preda chiunque in quel recinto obbligato.  La nebbia camminava adagio, soffocando il sentiero del ritorno, aveva l’odore di una schiavitù prepotente… dormire e ancora dormire e non vedere il giorno che vive. C’erano rifiuti, siringhe, sangue, pezzi di vita, illusioni distrutte. Irene diventa figlia della strada, in un circuito aberrante che brucia la dignità, che non vuol guardare la pietà e lo squallore, con l’ansia di ottenere soldi, i soldi per una dose di droga. Il tempo inghiottito, sempre uguale…e sbocciavano i fiori senza colore e scendeva la pioggia umida di dolore e nevicava il bianco ovattato che copre le case, l’ombra degli uomini, i lampi della vita.

Chi era Irene? Una marionetta di stracci raccolta in overdose in una sera di maggio, all’angolo di un viottolo di margherite, l’arcobaleno a indicare una rinascita possibile, l’aiuto di un amico che amava i suoi occhi spenti.

Un lungo estenuante cammino, la convinzione di poter tornare alla vita e studiare per diventare una maestra d’infanzia.  e rivedere un mondo a colori, l’alba che promette il sole e bambini, tanti bambini, che hanno sete di gioia.

Un’aquila nel cielo

Un bimbo sopra un melo

Un cane alla catena…” 

…la filastrocca dell’alfabeto, la scuola in cortile, un girotondo di voci, un’allegria incantata..



Jessie Wilcox Smith, Round the Ring of Roses (1914)

“Ora quelle voci – pregava - voglio risentire quelle voci…Sì, c’erano colori e grida e giochi… vent’anni d’amore regalato come un profumo, ogni giorno..i ricci rossi di Alberto, le manine sempre impastate di colore di Manuela, la timidezza negli occhi di Carlo, i fiocchi giganti di Flora, il balbettio di Sandra, l’attesa estraniata di Monica, la piccola Down che mi spediva baci con le mani…”

Il treno del silenzio si fa immagini livide e sfuggenti, quadri pallidi a cercare e rincorrere la pace. Non parla. Ha un mantello di tenera dissolvenza per l’ultimo viaggio.

Un foglietto, una scrittura incerta e struggente chiuso nel pugno di una mano

Dio mio, se io avessi un poco di vita...

Non lascerei passare un solo giorno

senza dire alle persone che amo,

che le amo…

A un bambino gli darei le ali,

ma lascerei che imparasse a volare…

(Gabriel Garcia Marquez)


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