CON CHI CANTERO' DOMANI

 di Nene Ferrandi




Katy Holley, Rospo e farfalla


Brutta, dicevano. Irrimediabilmente brutta, quasi una colpa, un destino…come se dovessi scontare peccati fin dalla nascita…ma no, mi dicevo, è un’opinione, la perfezione non è di questo mondo e poi so ridere, cantare quando mi va e, se il sole bacia i belli, stavo incantata a guardarlo cercando un’ispirazione, una qualsiasi, per illuminarmi con un sogno. Banalità che non sapevano accarezzare i miei pianti solitari e quella domanda “Con chi canterò domani?”

Rospo, il complimento universale, per quei maledetti cespugli a incorniciare occhi cadenti, narici spalancate , un viso triangolare e puntuto, un corpo secco e piatto come una scopa e lo specchio impietoso rideva, anzi sghignazzava di gusto osservando i miei tentativi di trucco, una rivista in mano, una tavolozza di colori, una parrucca, ideando, provando, fino allo sfinimento. Mia madre guardava, non interveniva, soffriva”

Eppure l’aria cantava, ogni giorno, rubando alla terra i profumi, abbracciando le solitudini, l’euforia di un incontro, i giochi innocenti e ripeteva il dono della vita con generosità, statica, invisibile, da tagliare con un sospiro d’amore, con un volo d’uccelli. Non sa dire basta agli orrori dell’uomo, non combatte la pioggia sferzante, ma c’è ed esiste per tutti. Le chiedeva “Quando canterò?”

“Scaricata, umiliata, derisa…il tunnel di una scuola da frequentare, l’incubo di offese cattive, meschine…avessi potuto essere invisibile, una mosca finalmente fastidiosa…ma ero il cesso che non volevano conoscere ed io facevo finta di niente, cercavo una chiave per farmi accettare…dipinsi allora fiori su fogli di carta per donarli con un sorriso.. a volte elaboravo temi per gli altri, occultando i contatti…era una vergogna avvicinare quella lì. L’emarginazione mi fece scoprire la bellezza della mia anima, pronta al dono, ma nessuno voleva cantare con me. Una rabbia, una spasmodica voglia di rivalsa e andavo al Supermercato vestita di sfida, per verificare le reazioni, ma nessuno mi notava, camminavo al parco e nessuno mi prestava una particolare attenzione. Esisteva un mondo, forse egoista o solo indifferente, ma viveva. “Non devo arrendermi”, mi dissi.

Quella sofferenza cupa aveva il colore mesto di uno stagno impotente, l’acqua soffocata da detriti, anche gli uccelli volavano lontano. La solitudine vibrava di d’impazienza. La scuola era finita. L’università l’aspettava con un punto interrogativo gigantesco. Usciva, passeggiava, assaporava l’aria e il tramonto mangiava il giorno, ogni sera. Gesti ripetuti per rubare la vita di un fiore, la forza di una quercia, il colore del cielo, inutili mani straripanti d’amore.



Patty Sue O’Hair, Hello, clown


“La casualità di un buffo incontro, in un ospedale per un prelievo del sangue, spalancò le porte del mio cuore…Ecco ora sono anch’io un clown del sorriso, mi dicevo e il naso rosso, una parrucca riccia tutta gialla, le labbra violentemente dipinte, un camice bianco con bottoni arcobaleno erano il mio biglietto da visita. Muta  guardavo il silenzio, un teatro reale di dolore, l’’inadeguatezza mi spingeva alla fuga, riaffioravano le incertezze e le fragilità, gli abissi delle mie paure…no, non fu un inizio semplice, ma ogni giorno una carezza, un sorriso dedicati a me e solo a me, bruciavano il mio corpo da rospo, rianimava il cuore. L’incanto, lo stupore nei loro occhi, è il sentimento che si fa arte.. e le bolle di sapone inseguono l’infinito…chissà dove vogliono arrivare.. e i palloncini diventano monelli dispettosi, una borsetta magica regala  tanti piccoli animali e poi quella bacchetta fatata con la stella dorata sa raccontare  le storie più improbabili, più misteriose. E, improvviso,  il bacio leggero sulla mia mano di un bimbo piccolo che sussurrava “Per sempre” Domani sognavo “So con  chi canterò”  Morì dopo pochi mesi. Ricordo. Ricordo la fantasia viaggiare per seminare risate, pause, ritmi gioiosi e i visi intensi delle madri, quella luce sbiadita, immagini, speranze, un mondo di sensibilità e purezza, una dimensione che dà un senso alla vita. E’ questo il grande messaggio…A chi importava il mio fisico sgraziato?” 

Quella stanza abbracciava i pensieri, le idee, le confidenze, nelle parole di una madre e di una figlia, rincorrendo il futuro, senza paura, consapevoli, con la convinzione che le maschere sono difese stupide, che l’uomo deve vestirsi di coerenza.

Quella stanza esplodeva con una primavera di rose e di ciliegi, dipinta con pennellate larghe su un’intera parete, un lettone per quei lunghi conversari, per abbattere le difficoltà del vivere quotidiano, a volte una carezza scappata dal cuore.

L’Università, a testa alta, l’iscrizione a Lettere Antiche, come la madre, per uno scambio di interessi, in un dolce e pacato ottobre con i colori dell’autunno.


“Vidi, affisso in una bacheca, un annuncio “Cercasi attori per la Compagnia di Teatro universitario. In programma “Sogno di una notte di mezza estate “ di William Sakespeare. Telefonare al numero x” e decisi di provare, per quell’antico senso di rivalsa, quasi l’ultimo atto per impormi, nonostante i miei limiti fisici. Le idee non erano chiare, ma le immagini mi vedevano protagonista, in scena, a catturare sguardi ed emozioni..”Ma tu sei pazza”, diceva mia madre ridendo.

“Ma io voglio essere la bella Elena e non è un paradosso, ma una sfida”.

Sì, un’estetista, un nuovo taglio dei capelli, un abito fluttuante lungo...una trasformazione per quel provino e il regista parlava di rifacimento, di scene corali, immaginifiche, una fiaba magica, ma il monologo di Elena restava quella perla di umanità che solo un cuore nudo sa esprimere. La mia Elena toccava la sua anima con leggerezza sofferta. “Oh, quanto una persona può essere più felice di un’altra!...” Ma sapeva modulare risentimento, impennarsi con rabbia, spinta da una forma di impotente pazzia “E pensare che in città tutti pensano che sia bella almeno quanto lei. Ma a che serve? Demetrio non se ne avvede e ciò che gli altri sanno egli non vuol sapere. Lui erra nell’ammirare lo sguardo di Ermia e sbaglio io ad ammirare i suoi pregi…” L’immedesimazione diventa convinzione “Amore trasforma in cose dignitose e belle anche le cose più umili e prive di armonia. L’amore non guarda con gli occhi, ma col sentimento, ed è per questo che Cupido viene dipinto bendato.” E i gesti, i ritmi, i silenzi diventano ossessione, annullano la rassegnazione. La mia interpretazione persuase  il regista e, finalmente in scena, sola, padrona dello spazio, uno spot livido per illuminarmi, la mia Elena si raccontò, trasmise suggestione emotiva, a fior di pelle il respiro sospeso degli spettatori e un sentito applauso finale. Aveva vinto il cuore”.

Sono passati dieci anni e, ironia della vita, Elisa ha sposato Luca, l’interprete allora di Demetrio. Lontanissima l’angoscia dell’adolescenza ed ora è felice. Sì.

“…l’aria canta come una chitarra…

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,

tu canti e sei canto,

Il mondo è oggi la mia anima, canto e sabbia…

… Oggi lasciate che sia felice, io e basta,

con o senza tutti, essere felice con l’erba

e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,

essere felice con te, con la tua bocca,

essere felice." 

(Pablo Neruda)

Commenti

Post più popolari