PERFECT DAYS DI WIM WENDERS - LA RECENSIONE

di Agnese Giordano





Such a perfect dayS... 

E' proprio in quella "S" in più che Wim Wenders ci invita ad immergerci nella poetica della ripetizione, nella bellezza intravista in un riflesso che si sgancia dal monotono del quotidiano, nei frammenti delle piccole cose che, reiterandosi, si elevano a rituale.  

E' il racconto di un antieroe che pulisce con meticolosità e dedizione i bagni pubblici di Tokyo e che, nel tempo che resta, si nutre della potenza delle briciole di bellezza, assunte quotidianamente attraverso una pagina di letteratura assorbita poco prima di chiudere gli occhi o grazie ad un brano su musicassetta che apre prospettive nuove sui giorni che si ripetono o con uno scatto sempre identico ma per sempre diverso, perché in natura tutto muta.  

Allora è la potenza dell'arte a salvarci ancora una volta dai rifiuti e dalla sporcizia ed il cinema svolge per noi la stessa funzione che questi frammenti hanno per il protagonista. Il giorno dopo non sentiremo più la vita con la medesima intensità di ieri.  

Qualcosa si è espanso... il silenzio forse. E il desiderio di lentezza. 

Sono poche le parole necessarie quando tutta quella umanità sgorga dagli occhi del protagonista, Hirayama, magistralmente interpretato da Koji Yakusho, premiato a Cannes proprio come miglior attore: tutto è detto nel non detto e il nostro spirito che tutto conosce, riesce a collocarsi in questo spazio d'espansione. 

E' un po' come l'elogio di ciò che basta a sé stesso: un libro comprato solo quando il precedente è finito, un rullino acquistato solo quando il precedente è finito.  

La sicurezza non ci viene data dal carrello pieno e l’Oriente viene a ricordarci l’importanza della vacuità. 

Questo film è un invito.

E poi la vita sbrigata in bicicletta, due ruote che diventano quattro per farci aderire al senso del tempo, tempo che viene speso con dedizione per la cura di piccole e fragili piantine di alberi imponenti e simbolici come il gingko biloba o l'acero giapponese, sorta di metafora del sacro, come prendersi cura del grande a partire dal piccolo.  

Ogni giorno, ancor prima che inizi il giorno. 

Resta ancora il tempo del sogno a scandire il tempo, con suggestivi intermezzi realizzati dalla moglie fotografa, Dorothea Wenders, che ci riportano agli essais fatti circa 100 anni prima dalla Dulac nei suoi Études cinégraphiques sur une arbesque, del 1929, una sorta di Komorebi  in bianco e nero che filtra luce e ricordi e che, proprio come negli interludi de Le Onde di Virginia Woolf, attraverso moti eterni e riflessi di un mare sempre cangiante, ci riportano all'unicità del momento presente.  

Ed è proprio il presente tutto ciò che dobbiamo celebrare: la vita passata del protagonista infatti, non la conosceremo mai, possiamo solo immaginarla, ipotizzarla ma tanto non è importante. Sappiamo solo che è tutto ciò che non desidera più e che, attraverso un lancinante dolore, è ciò che lo ha condotto a questo stato di pace, nervatura necessaria in questo mondo.  

Regista grandioso. Attore immenso. Insomma, andate a vedere Perfect Days di Wim Wenders rigorosamente in lingua e per favore, restate fino all'ultimo titolo di coda. 

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