NATURA MORTA CON GIRASOLE DI BRUNO POMPILI


ovvero, prendendo in prestito e variando qualche titolo dalla pittura: «paesaggio con guerra», «ritratto di migrante alla finestra», o «alla porta».

C’è forse una mancanza di rispetto in queste varianti; a voler essere rigorosi, forse sì. Ma non è nulla in confronto a ciò che si sta preparando nelle fucine di Hollywood; sceneggiatori, dialoghi di qualcuno, musica senza o con memorie eroiche, casting; scelte d’obbligo e prioritarie: prima o dopo l’invasione della Ucraina, il lavoro della cia et similia, agenti segreti (ma no!) e amori slavi (sfilata di occhi azzurro-verdi e fianchi alti). Le locations, se ne trovano dappertutto.

È vero che ormai altre guerre poco rendono, dalle sterpaie mediorientali, alle sassaie (pietraie?) afghane abbandonate anche dai rettili. Né gli affogati del mediterraneo hanno scaldato ormai più le penne (le tastiere) dei soggettòfori o sciolto i portamonete dei mangiastorie.

Ce lo aspettiamo e ce lo siamo meritati, tutti, dagli ascoltatori passivi ai soldati attivi.

Infine sono arrivati sulla scena giornalistico-televisiva i riservisti. In assenza di incendi, alluvioni, terremoti, tsunami vicini (per sentire l’onda nel porto), ondata innumere della pandemia, naufragi importanti (i numeri sempre contano), controllabili (copribili) con gli effettivi, ecco dunque in servizio i lancieri liberi [sic?] su grande spazio, che meritano di potersi esprimere, in tempi orribili: è un loro destino?, o una professione inadeguata, o è un “rattoppa malocchi” per disoccupati, a far vedere che noi altri pure ci siamo?

L’erpice del tempo (se preferite: la falce) ha diradato di molto i testimoni. Oggi sempre di meno, e con strane memorie: chi ha subìto la guerra, il ronzio alto dei bombardieri, le vane nuvolette della contraerea, il passaggio del fronte, il sonno ammucchiato nelle grotte (con l’angoscia dell’unica uscita), i feriti sulla porta accanto, i camion dei rastrellamenti, e nessuna notizia se non dai passanti che sfollano verso qualche posto senza nome, la figura di chi tragicamente non piange per un lutto previsto e avvenuto. Era la seconda guerra mondiale: senza tv, senza giornali, radiolondra sì, e i ragionamenti dei vecchi, tanto per parlare, dire qualcosa nella notte a luce spenta.

La guerra, chi la cerca e chi la subisce: i bambini allora sicuramente nella seconda lista; gli altri, ambiguità annodate e storie mai chiarite, qualche incubo, sempre più rari sogni.

Oggi chi parla di guerra è più probabile che l’abbia vista nei film. E chi la va a vedere, l’impara. Rispetto, è una parola un po’ molto usata, ma ha un senso. Non è tuttavia il momento per analizzare i perché individuali delle missioni professionali di presa visione.

Sono nel frattempo apparsi altri professionisti o volontari: tecnici finora appartati o isolati, pensatori eburnei, in attesa di essere utili; e il momento si è finalmente aperto. Hanno sostituito gli epidemiologi, virologi, infettivologi, che senza colpe o malavventure aspettano di poter di nuovo elargire pareri.

I predittori che affermano di non leggere sfere di cristallo ma hanno esperienza da vendere… la vendono; mentre un gruppo di ultraottantenni si racconta inutili e maldestre memorie. A tutti sembra sfuggire la realtà, e un sano rinnovato esercizio intellettuale la mantiene ai giusti livelli culturali; salvo improvvise cadute dell’autocontrollo e lo sperpero di stupide riflessioni truccate da diritto democratico alle proprie opinioni: tristissimo privilegio.

E questo, vale a dire lo sproloquio, al momento mi appare anche peggio dei prodotti che stanno per arrivare sugli schermi, perché poi di quelle stesse opinioni e certezze e inganni essi si nutrono.

I libri. Molti sono già pronti; si aspetta qualche indiscrezione per scrivere l’ultimo capitolo. A botta calda della realtà, attenzione!, non è il caso di mostrare errori di intendimento. La catena della messa in mostra (pubblico passivo?) già freme e si è organizzata: la rete delle amicizie professionali di settore non perde mai un colpo.

La mancanza di info di fresca attualità (or sono tanti anni) aveva i suoi vantaggi, c’era più tempo per aggiustare bene il campo e il tiro.

… e questo è oggi inevitabilmente un momentaneo lessico bellico.

Mi auguro che ci siano risparmiate almeno le poesie d’occasione. Di poesia, e come sta, sarà bene parlare in altro tempo.





Aleksandr Dejneka (1899-1969) – “La difesa di Sebastopoli” (1942)







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