PER MEMORIA NASCOSTA

 

di Bruno Pompili


Vincent van Gogh, Charrette de boeuf


Su un convoglio di carri trainati da buoi e muli mi hanno portato in viaggio da bambino, per abituarmi all’idea del tempo e dello spazio.

Da grande dovrei fare la guida, o il conduttore: al momento erano solo chiacchiere; e io ci capivo poco malgrado gli sforzi del mio maestro, che in verità era contrario a quel viaggio.

Lungo il percorso si sono incolonnati con noi altri carri, previsti, e anche un altro a sorpresa. Abbiamo saputo dopo che c’era un bambino, poi erano due, e un grande vecchio. Bambini importanti, non come noi, che dovevano andare di nascosto in una grande città lontana. In segreto.

Mio padre, lui lo sapeva e si era impegnato a confonderli con noi, con me anche, rischiandomi in caso ci scoprissero. Ho capito che il mio maestro era contrario proprio per questa ragione. Anche lui lo sapeva.

Non riuscivo allora a distinguere fra pericolo e paura, e più tardi fra scomparsa e morte, quando si parlava di estranei; diventava difficile capire anche quel che succedeva nei nostri carri e fra le nostre persone.

La mala situazione era nata dai visitatori, che erano diventati ospiti, e alla fine degli estranei fastidiosi o peggio ancora misteriosi compagni di viaggio con problemi che diventavano di tutti. Noi, senza sapere quali fossero.

Si capiva che c’erano dei vantaggi: una scorta rafforzata, dei sorveglianti molto armati; ma non cibo, sicurezza sì, perché certi cavalieri erano belli, abili e imponenti. Che qualcuno di loro fosse scomparso o morto ha portato una sorpresa insuperabile, come una ferita che sta sempre per guarire e invece butta infezione o malattia.

Fin da piccoli, è vero, siamo stati abituati ad andare alle cerimonie di seppellimento, a vedere i volti contratti e gialli dei morti; al contrario gli animali sparivano prima, non morivano, venivano uccisi per essere mangiati, come se non esistessero le loro malattie.

Per questo i cavalli dalla grossa pancia rigonfia e a zampe all’aria, o uomini rannicchiati immobili come piccole macchie nei fossi o nei campi prossimi alla strada, sono segni di luoghi diversi dove non sarebbe bello vivere.

Tuttavia le pianure e i monti, senza dire delle persone, sembrano alti, ampie, sempre lontane e irraggiungibili: finzioni della stanchezza. Ci sarebbero voluti altri viaggi e altri desideri e bisogni sconosciuti per adeguarci al lavoro o per cambiare la nostra vita.

Intanto si deve tenere in memoria il più possibile. Pensare di fissarla sarebbe una soluzione, e ha un senso; ma il divieto era indiscusso e imperioso: «mai tenere memoria scritta». C’era infatti un pericolo, che però non veniva spiegato. Sembra piuttosto una superstizione molto vecchia o forse antica.

In tal modo si confondono i luoghi, i tempi e il numero dei morti. Restano immagini nebulose, o per caso molto precise nei dettagli, mentre si perdono in luoghi erranti, senza calendario utile.

Le persone soprattutto non andavano toccate, descritte, nominate, e neppure ricordate. Questo favorisce la naturale dimenticanza negli anziani, non cambia certamente la silenziosa curiosità dei bambini.

Frammenti di qualche frase detta dagli adulti e dai vecchi erano invece ragione di un litigio furioso, con rimproveri, minacce e tentati colpi di bastone: per fortuna nessuno portava armi da taglio all’infuori dei momenti di guardia. Una lama che brillasse veniva rinfoderata per le gran grida scandalizzate di tutti.

Giorni di pioggia continua portano sonno nel chiuso dei carri, riposo all’inizio ma inquietudine nel seguito; noia e preoccupazioni si sommano, conti aperti e domande che non potevano avere risposte; che soprattutto vanno sospese.

Le voci stesse delle scolte e il dialogo a distanza fra conduttori si indeboliscono, come illusioni al risveglio torpido da sogni quieti.

Cos’è allora che blocca d’improvviso il convoglio, con frustate, muggiti, ruote stridenti sui sassi, frenate che fanno dondolare tutte le suppellettili dei carri, rischiando di far cadere un lume acceso e provocare incendi.

Di solito era una volpe o lupi vagabondi che spaventavano gli animali, se i conduttori avevano passato il limite del sonno.

Guerrieri sconosciuti e prevedibili vogliono controllare il convoglio, vanno dritti al piccolo carro dove cercano i bambini che invece stanno qui da me. Dicono che ripasseranno alla luce del giorno. Dovremo nasconderci meglio, per questo ci sono dei doppi fondi invisibili dall’esterno. Si dice che saremo ringraziati per aver protetto degli estranei importanti.

Intanto dev’essere avvenuto uno scontro silenzioso, con la prima luce. Nessuno è tornato a cercarci, e abbiamo visto cavalli correre senza cavaliere per i campi, poi fermarsi a brucare qualcosa.

La nostra scorta ora si è posta in coda al convoglio; pare che il pericolo ormai venga da un accampamento oltrepassato nella notte. Almeno tre feriti si fanno curare sul nostro primo carro, prima di sparire.

I problemi veri sono silenziosi, e di un morto quasi sempre si diceva che era scomparso.

È passata voce lungo i carri: dobbiamo dimenticare tutto quel che abbiamo visto. Per salvarci.

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