DI CIBO E DI AMORE DI MARTA AJÒ. LA RECENSIONE


di Paola La Grotteria





Di cibo e di amore di Marta Ajò (Graphofeel edizioni) è scritto sotto forma di un diario clinico profondo, bello e unico nel suo genere perché privo di tecnicismi e del linguaggio gergale del mondo psichico. Tuttavia è sovente introspettivo e tocca aspetti psicologici rilevanti.
Senza remore, quindi con coraggio morale e verbale, Marta Ajò affronta una battaglia contro ciò che più angustia tutte le madri del mondo: la malattia della figlia/o. Poi se è un disturbo alimentare, cosa pensare se non che la madre ne sia coinvolta in prima persona? Ricordo il cibo soprattutto come nutrimento primario materno da cui la vita prende forma ed inizia, simbolo “transizionale” tra nutrice e chi viene nutrito.

Lo spaccato che ne deriva ha più sfaccettature. Infatti non mancano vissuti come un incremento della sensibilità, ma anche la gestione emotiva, i sensi di colpa, il sentimento di forte responsabilità nei confronti del disagio vissuto da una figlia. Ovvero il più “cattivo” rispetto alla salute, la mancanza e il controllo dell'appetito, la cosiddetta “anoressia”, termine che la scrittrice non cita così.

Marta Ajò stupisce nel porre una dimensione di ascolto del malessere sia della madre che della figlia rispetto alla malattia, attraverso una sorta di diario clinico fluido e scritto con leggerezza, nonostante il tema “grave”, sottolineando quanto di più contraddittorio esista nella mente e di come ci si deve cimentare a gestirlo.
Anche pensando a “dover lasciare andare la figlia al suo destino” come unica soluzione salvifica.
Un punto fondamentale del racconto sta proprio nell’ accettare la diversità radicale tra “due”, che sembra semplice ma non lo è affatto, nel momento in cui si associa il fatto che accanto alla sofferenza ci sia l'insofferenza o che immediatamente dopo l'espressione“ ti voglio bene” se ne pronunci un’altra in antitesi “ti odio”.

Mettendosi in sintonia con la diversità, Marta Ajò ha simbolizzato l”Appello all'Altro”, all'Alterità assoluta, raccontando un viaggio a Lourdes, viaggio della speranza, come segno di umiltà nel rapportarsi con Dio, oltre il concreto vivere, un significato, mentalmente e particolarmente importante, che può accompagnare o cambiare la vita.
L’autrice supera l'idea indignitosa di malattia mentale opponendosi alla possibilità che ci si possa ridurre ad uno stato inerme o mutacico, ovvero privo di attività e dell'uso della parola.

Raccontandolo anche attraverso la partecipazione a gruppi di ascolto costituiti per e da genitori di pazienti con disagio mentale, soggetti attivi per cogliere aspetti di riflessione e consapevolezza senza delegare solo a medici e medicine il supporto necessario.

Consiglio questo testo a pazienti, studenti di ogni grado scolastico, fino all'Università, e a tutti coloro che fanno una professione di ascolto del disagio psicologico, medici, psicologi, educatori, insegnanti o a persone che si avvicinano a questo mondo in un primo tempo perché Marta Ajò ne tratta con le parole giuste per descriverlo, e mi permetto di dire, secondo il mio parere di psicoterapeuta d'esperienza, in modo originale
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