AI ARTISTA IGNOTO

 

di Bruno Pompili


Corrado Govoni - Autoritratto visivo in "Rarefazioni e Parole in libertà", 1915


AI
Artista Ignoto


Non pensiamo a corone di fiori: ci mancherebbe anche questo.
Un cordiale impiegato di un ufficio legale mi ha mostrato i risultati di scrittura della IA (Intelligenza Artificiale, in sigla italiana): in pochi secondi ha ottenuto un lungo testo amministrativo, corretto.
Non resisto alla provocazione con sentore di sfida: vorrebbe dire lasciarle scrivere un racconto come se fossi io l’autore. Mantengo di riserva le mie armi speciali: la punteggiatura, soprattutto i «;» e le parole desuete, con l’aggiunta di qualche apparente refuso. Inserisco un disordine sintattico personalizzato, che diventa chiaro quando poi ci ripensi. “Chiaro” è una parola forte, ma ci sta se ti riferisci al tutto: in caso contrario tanto peggio per chi legge (e poi in conclusione, nel tempo, per chi scrive).
In pochi secondi il suo testo è pronto: un breve racconto, articolato, suadente, con qualcosa che qua e là mi piace, ma lontano, nel totale, da quel che potrei mai aver scritto. Non ci siamo, non c’è gara: sorrido io.
Anche il cordiale impiegato ne conviene: io sono (sarei) diverso, ma con il tempo chissà cosa vien fuori dall’altra parte. Se per esempio il sistema degli artifizi si automoltiplicasse, mi ingloberebbe più attentamente imparando livelli più profondi: userebbe e apparirebbe una autenticità senza più discrepanze. Insomma una copia conforme, e attiva a comando. Sarebbe.
Cammino ora attraverso la piazza del mio paese – se non è una illusione indotta da non so chi – un po’ a testa alta; e di tanto in tanto mi accorgo che la sto scuotendo, se sono io.
Può una scrittura anomala per natura, o volutamente organizzata fuori schemi, sfuggire alle grinfie della IA.
Quanto anomala? E poi definisci “anomala”. Sarei tentato di gridare, semplificando, “io, la mia!”
Non è l’ordine delle parole che guida l’ordine dei pensieri, o gli ingranaggi espressivi, ma sempre noi ci pronunciammo per il disordine.
Non è la convenzione dei sentimenti, noi ci pronunciammo per la solitudine.
La piazza e la sua vertigine, sì a volte, ma alla sera si tornava a casa stanchi, per dormire.
Un lavoro improvvisato ci veniva meglio di uno calcolato e previsto.
Le risposte degli editori e delle riviste arrivavano abbastanza rapidamente allora, e dicevano di no, che le nostre poesie, né le altre pagine, non andavano bene. Almeno quelli rispondevano subito. E rispondevano sempre.
Finché mi stancai io di scrivere. Nell’intanto (sempre mi affascina e mi lega questo segno di tempo) c’era della logica resistente e continuata nel sistema: analogie di risultati fra allora e di poi nel seguito.
Fu così che in un paio d’anni, ci mettemmo in tre (sì, in tre all’inizio), ci facemmo una piazza tutta nostra dove parlare. E siccome eravamo strani facemmo un patto (con il gestore, però lui era indifferente sul chi parlasse): lasciar parlare soprattutto gli altri. Raramente, noi. E solo se c’erano ragioni molto serie. Di rado. Per discrezione o per insufficienza.
Non siamo stati bravi, sul momento. Non ci hanno neppure imitati, e le cose sono andate come andavano di solito, ma noi ci siamo ritrovati contenti, nonostante qualche litigio.
È importante – e se lo capisci rapidamente è meglio – che ognuno parli-scriva per sé, così le colpe, le differenze forse e per certo, sono più chiare. Anche la punteggiatura e il lessico e l’ordine-disordine sono da mettere in conto. Sembrerebbero l’essenziale.
È una corsa d’indipendenza, che poi ti potrai godere negli anni anziani, quando non potresti cominciare a fare qualcosa di nuovo, se non ripeterti di nascosto per occupare con minor stupidità il tempo che resta.
Allora lo sapevi, senza dirlo a nessuno, che ti eri conquistato quel modo di essere unico. Le imitazioni erano impossibili, ma soprattutto inutili perché a nessuno sarebbe convenuto.
E adesso? Adesso che forse è importante essere inimitabili (bhè, questo aggettivo assume un valore diverso da quel che aveva una volta) di nuovo cercheremo l’indipendenza o inventeremmo libertà?
Ci sarà da scommettere molto, mai tutto (teniamo una riserva); o ci sarà proprio da ridere quando riceverai la lettera che ti premia con il riconoscimento della IA, per quel testo che hai scritto o ispirato o lasciato scrivere al posto tuo, perché tu ti sei fatto altri progetti ormai. Stai altrove, o non sei più inimitabile; aggiungo: per sempre.
Un premio, un riconoscimento, se non una distrazione probabile del sistema – lo abbiamo consentito – dopo una vero-falsa riflessione: solo ad una condizione, di essere immessi nelle spoglie segrete, nel sacello, dell’Artista Ignoto (AI, secondo la sigla mondiale).
Quanto può aver durato la guerra?

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