ARIANNA
di Bruno Pompili
Dalla sussurrante cisterna dove si muovono voci cristallizzate e sedimentati respiri sempre arrivano all’orlo racconti che aleggiano senza tempo e possono essere afferrati come tremule farfalle sorprese dalla luce.
Arianna, sottovoce
Di me si è anche detto, sì, molto. Ma non direttamente, anzi sempre parlando d’altro o d’altri: come per caso viene fuori che ci sono o c’ero, anch’io. È stato sempre così, e non me la sono mai presa a male.
L’unica immagine, tanto diffusa e ricalcata, che corrisponde all’eco del mio nome, è legata a quel maledetto gomitolo, col mio filo: non ci fosse mai stato! Saremmo vissuti tutti molto meglio; però debbo anche pensare che i guai, dopo quell’evento del mio fratellastro nel labirinto, Minos, se li sono cercati, tutti; in parte, pure io.
Il filo di Arianna: sempre così si dice. Invece non ci ho messo niente di mio. Una corda da impiccarmici, ad averlo saputo prima.
Sì, avevo un gomitolo, ci giocavo continuamente con le mani, perché avevo dei problemi nervosi, e quando si parlava, quella sera, con Teseo che era a cena da noi, e con Fedra che sempre mi stava alle spalle per sorpassarmi all’ultimo momento, sì il gomitolo: si parlava del sotterraneo tanto complicato e spuntò l’idea di una traccia per non perdersi. Al mattino dopo, quando mi sono svegliata se l’erano preso: forse Teseo, forse Fedra.
Non avrei fatto nulla mai contro il mio fratellastro, che poi non avevamo neppure visto, o mai ce lo avevano fatto vedere: se ne parlava sottovoce, ma a volte non esisteva proprio. Era per far paura alle ragazzette, mi disse una volta una vecchia, che poi scomparve.
E Teseo era un bel ragazzo, figura da eroe di una volta, o di una sola volta, ma non era ancora nessuno: qui era in visita di cortesia, per scambi e commerci, su come fare certe navi e spedizioni lontane. Qualcuno, poi scomparso, come altri, e non so chi fosse esattamente, sussurrò che Teseo era accompagnato da una decina di fanciulle (disse: “tutte di una bellezza accecante”), che poi sparivano come se condotte in un altro mondo, ma chissà quale fra quelli disponibili. Cominciavo a capire che non c’è certezza di nulla.
O a noi tenevano nascoste delle verità troppo difficili o complicate da ricordare. Ora credo proprio che eravamo all’oscuro della vita, a giudicare dalle mie disgrazie di poi. E il principe, il mio fratello Minos, in una insensata stupefacente storia taurina, restò come un’ombra su di noi. Per me, una sconosciuta notte dell’anima e del corpo.
Avrei preferito essere ricordata come la prigioniera di Naxos, l’isola di Naxos, dove sono rimasta un tempo indefinibile, dopo che l’indicibile Teseo, con quell’orribile nave dalle vele nere, mi ci lasciò.
Mi aveva detto che ero la sua eletta; ma l’aveva detto pure a Fedra, e si prese lei: pare che a me mancasse qualcosa, che nessuno mi ha mai detto o spiegato. Isolana a Naxos: come sarebbe possibile non avere problemi. E se poi avevi già da prima qualcosa che non va!
Quando per caso Dioniso mi trovò, stavo dormendo: a Naxos almeno c’erano di queste erbe felici.
Dioniso anche dopo un certo tempo era ancora gentile; mi aveva sposata subito, senza che io sapessi esattamente come. Dopo, dico dopo, abbastanza tempo dopo (intanto mia sorella Fedra – si era saputo – aveva combinato storie pari alla sua ansia d’amore e poi finalmente si era uccisa) senza spiegazioni Dioniso, uno che poteva, mi diede un diadema e un nome, che io capivo e non capivo: una costellazione, disse, e lo dissero altri, pensa un po’. Tante stelle. Lo avesse saputo Fedra, si sarebbe uccisa già prima.
Avrei tuttavia preferito restare a Naxos. Qualcuno, con sorpresa reciproca, mi scopriva e accettava racconti, che per la maggior parte mi inventavo lì per lì. Eravamo tutti contenti: “povera Arianna”, vien da dire, sì. Ma poveri gli altri, che con poca cosa si incantavano ad ascoltare.
È vero, non sapevo inventare un granché, però mi rendevo conto che lo dicevo bene, e già mi sembra un segno di quei tempi: le storie erano ripetute e imitabili, per questo ce ne sono tante; l’importanza allora sta nella voce che le dice, con la sua propria sintassi, i suoi giorni, i segni, o i propri sogni per ingannare il tempo.
A volte un grido inatteso o improprio fa pensare a un mondo diverso, se c’è.
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