LE DUE VERSIONI DI NOSFERATU

 di Accursio Soldano 



foto di Caterina Soldano

Quando ci si trova a dare un giudizio su un film che presenta una storia già conosciuta, come ad esempio il “Nosferatu” di Robert Eggers si può procedere in due modi: come farebbe un critico cinematografico o come farebbe un semplice spettatore che ama il cinema.

Il critico entrerebbe in sala avendo bene in mente la versione di Werner Herzog, la faccia di Klaus Kinski e prima di andare al cinema si rivedrebbe, comodamente seduto sul divano di casa il “Nosferatu” di Friedrich Murnau, (perché lui, nella sua videoteca personale ce l'ha) fregandosene se nel 1922 il conte si chiama Orlok mentre in quello di Herzog diventa Dracula e qui torna ad essere il Conte Orlok (che detta così sembra un parente del Conte Tacchia).

Per il critico cinematografico il giudizio finale scaturirebbe non dal film in se stesso, ma dal paragone con le due precedenti versioni, e se il dato di partenza è che il film di Murnau è un punto di riferimento del genere horror, mentre quello di Herzog è un capolavoro, risulta chiaro che il recente Nosferatu di Eggers non è niente di eccezionale. Ovviamente, per non sminuire troppo il film, il buon critico cinematografico dirà che c'è una bella fotografia, che il montaggio è fatto bene e cose simili, ma sconsiglierà la visione.

E adesso andiamo alla visione dello spettatore, quello che la settimana prima era andato al cinema a vedere l'ultima analisi di Freud sull'esistenza di Dio e adesso aspetta che arrivi in sala il nuovo film di Ficarra e Picone per farsi quattro risate, insomma, colui che va al cinema per il piacere di andarci.

Lo spettatore qualunque troverà il film di Eggers abbastanza noioso, (persino chi non conosce la storia), prevedibile, ma nel suo svolgimento sarà capace di far tornare alla memoria vecchi classici che non si possono dimenticare. E così, quando l'agente immobiliare Thomas Hutter arriva in Transilvania per far firmare al Conte Orlok il contratto di acquisto di una decrepita dimora signorile, ad accoglierlo, in piena notte, al buio, c'è una carrozza trainata da cavalli neri. Lo sportello si apre e nella scena seguente si vede la carrozza con a bordo il povero Hutter, seguita da tre cani ululanti che corre verso il castello di Nosferatu. Allo spettatore qualunque è tornata in mente, nitida e precisa la scena del “lupu ulula e castello ululì” di Frankenstein junior (sempre di mostri si tratta).

Lo spettatore qualunque uscirà dal cinema così come era entrato, senza nessuna variazione di umore perché non saprà se ha visto un film sul vampiro o la versione moderna de “L'esorcista”, se la mano che aleggia sulla città è quella del “non morto” o quella di “M, il mostro di Dusseldolf” con un finale che ricorda “La bella e la bestia” (con la differenza che lì vivono tutti, qui invece muoiono).

Lo spettatore qualunque eviterà di raccontare la trama ai suoi amici perché il film lo ha reso più cattivo.

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