EURIDICE, IN CONFIDENZA
di Bruno Pompili
Jean Delville Orpheus and Eurydice
Care amiche, c’è stata quella storia del rettile velenoso che mi ha morso; non l’ho mai detto a nessuno che l’ho schiacciato io, per prima; la sua testa ha mandato uno scricchiolio repellente.
In un istante ho deciso. Ho gridato, ho gridato più del possibile; e chi non vedeva l’ora intorno a me che qualcosa di male mi capitasse fu accontentato.
Ade mi portò via nel Tartaro, a conferma che ero morta. Sia chiaro che non mi ero messa d’accordo con lui, ma volevo con tutte le mie forze cambiare di mondo, e quello scuro e ombroso era l’unico che mi portasse veramente lontano.
Ade fu corretto, poiché aveva anche capito molto di me, seppur non tutto. Mi presentò a Proserpina, la sua nuova regina, che mi accolse senza diffidenza. Lei aveva già fatto la stessa strada, in parte non volendo.
Mi chiederete: “Orfeo dov’era”. Non c’era; posso dire che non c’era mai. Sempre in giro a suonare, a strimpellare piuttosto, ammansire le belve e gli uomini, più le prime che questi, a far piangere le pietre: storie che sono state credute, perché, in ogni caso, Orfeo era un grande; quando non suonava era quasi meglio. Lo avevo amato, quando c’era.
È vero, dopo la mia morte si è lamentato molto bene. Sincero, convincente. E mi cercava con tutte le sue forze, ma poteva metterci anche qualcosa di più. Era la sua prova, la più importante della sua vita, doveva trovare molto di più, per meritarsi nome, e memoria. Per legare per sempre il mio nome al suo, e non temere che fosse il suo legato al mio. Io non avevo ambizioni speciali, ma ora dico sì, che le avevo: volevo essere felice. Ambizione sovrumana in verità, oggi lo so.
Nel Tartaro sono stata bene. Di nascosto potevo, e ancora posso, salire a prendere luce, in luoghi che non mi conoscono, in tempi che non so, o non dico.
Ma non è del presente che voglio parlarvi, e che in gran parte conoscete. È di quando Orfeo venne a prendermi.
La trafila fu lunga, ma non per le ragioni che si dicono. Ade e Persefone (ma fra di noi si diceva Proserpina) volevano proteggermi, non tenermi sequestrata.
Concordammo il trucco che conoscete, che tutti sanno: così dev’essere un trucco, noto a tutti eccetto che all’interessato. Non consideratemi perfida, ero combattuta, volevo e non volevo.
Pensate voi quel che volete, e ora ascoltate.
Proserpina, che aveva un debole inconfessato per Orfeo, e quasi quasi se lo voleva prendere, con gelosia si aspettava che al momento fatale lui si sarebbe voltato indietro e mi avrebbe perduta, e lei ci metteva delle speranze. Come donna, poteva capirmi meglio. Era in gioco la mia indipendenza e una possibile futura felicità, a fronte di un qualcosa che era stato valutato, giudicato, insomma già provato. Che se lo prendesse lei Orfeo, se proprio voleva problemi. Io agivo per me soltanto.
E non era egoismo, era desiderio.
Dunque, Ade dice sì, che era consentito a Orfeo di riportarmi alla luce (capirai!...). Ad una condizione, che lungo la risalita egli resistesse alla tentazione di voltarsi e di guardarmi. Se seguivo o non seguivo?
Due desideri così contrari: non parlo dei miei, ma di quelli di Ade e di Proserpina; lui voleva che resistesse, lei intendeva che Orfeo mi perdesse. Altri tutt’intorno erano schierati per una soluzione o per l’altra; anche perché una terza via non c’era.
Solo Orfeo sembrava stupido, come passivo attore di un destino che lo inganna, ma il sospetto io l’ho sempre avuto: non era solo bravo a commuovere, era bugiardo; d’altra parte se non sai fingere non puoi neppure essere un artista.
Ricordatevi che io nel Tartaro mi trovavo bene. Esile e bionda, ancora più pallida, avevo i miei corteggiatori fra le ombre.
Quegli sguardi e quei movimenti avvolgenti, numerosi, senza che potessero stringerti, e invece tenerti sempre all’erta, in attesa, a spasimare così a lungo per qualcosa che per fortuna non succede, ma sempre c’è. E qualcuno fra le ombre, una volta o l’altra forse c’era, poteva essere un fuggitivo come me. Era una mia scommessa, e aspettavo.
L’incontro con Orfeo fu davanti a testimoni, l’accordo venne stabilito. Io tenevo la testa bassa, e mi nascondevo dietro un velo pesante, più ridendo di tutto che non piangendo di commozione. Mi dispiace, ma ridevo di Orfeo, e anche di me stessa.
Ero pronta, e partimmo.
La strada era più lunga della discesa, forse mi sembrò; ma direi che era molto lunga, c’era tempo per pensare e perché la tentazione di Orfeo si complicasse ancora di più.
Sono sicura, anche lui ci pensava a liberarsi di me, altrimenti avrebbe resistito alla stupida tentazione di voltarsi indietro. Se veramente avesse saputo che ero sua, e se veramente era certo di volermi.
Sì, ora sono convinta che Orfeo non era stupido; era solo stanco, nel momento sbagliato, quando ciò che conta è il tuo vero desiderio, intatto ed eterno, almeno nell’illusione della nostra favola.
A diversi metri di distanza lo seguivo; un poco inciampavo, per mancanza di abitudine a camminare, un poco fingendo, aspettando che lui decidesse. Mi voleva, e voleva perdermi; cercava anche la scusa eterna per piangermi. Il suo nome sarebbe venuto per primo: Orfeo ed Euridice, così, per sempre.
La mia percezione è che era stanco di tutta una banale storia, infatti aveva una sua sensibilità d’artista, su come vivere e cantare; bisogna anche dire che la tentazione di restare in una memoria che resiste nel tempo, diffusa e popolare, tocca anche gli artisti più raffinati.
Tante ragioni per voltarsi o non voltarsi.
La decisione l’ho presa io.
Ho gridato, con astuzia. Perché ho proprio urlato: aiuto! Ed era vero che chiedevo aiuto, e allo stesso tempo conoscevo il risultato. L’inganno era sottile, tanto che quasi confuse me stessa la mia astuzia.
Adesso sapete che c’è stata tanta, tanta incertezza, in tutti.
Perché è lei che sempre domina, altrimenti saremmo ad un passo dalla felicità.
Euridice e Orfeo. Suona male all’orecchio, però l’ordine è giusto, e l’avvenuto è vero.
L’ultima cattiveria, da ex-amante, che dice il vero: lui, proprio suona male. Lo si dice anche qua da noi fra le ombre, che però spesso sbagliano; vanno a memoria, loro. Alla luce, le cose sembrano sempre meno chiare, per mancata differenza.
Io sto bene. Ora ho un po’ fretta. Grazie.
Commenti
Posta un commento