GLI OCCHI DEL MORTO

 di Nene Ferrandi


Oskar Zwintscher, L'uomo morto in riva al mare (1914)


Lasciatemi la mia dignità…mi avete vestito di stracci a parer vostro eleganti, una cravatta con i pois che detesto e queste mani incrociate da suddito di un mondo che non mi ha amato, che esplodeva di ipocrisia velenosa e ora sono qui, ad ascoltare commenti noiosi “ma come era buono..come era generoso”…e le parole riempiono i sussurri per non disturbare un morto, io, insomma, che non posso gridare lo sdegno di tante falsità. La litania del rosario snocciola petulante una preghiera antica, con l’automatismo imparato nell’infanzia, ma come vorrei un pensiero, un solo pensiero sincero alla giustizia divina per un perdono dei gesti e delle intenzioni affogati in una vita di opportunismo egoistico di cui forse neppure mi rendevo conto fino in fondo. 

Lasciatemi la mia identità di uomo grigio, sognatore e beffardo, ridicolo con le mie utopie, monotono istrione del tempo, inconcludente e pasticcione, ma ligio a un lavoro quotidiano per un pezzo di pane dopo le privazioni infantili, orfano indesiderato e abbandonato alla carità. Eppure ho cantato nei giorni dell’amore, ho creduto all’eternità e tu, Rina, con l’abito nero, ad asciugare le lacrime compunta e addolorata, mi hai tradito per anni in silenzio, continuando a stirare le mie camicie…ma veramente hai pensato che non sapessi? Che non vedessi, la sera, la finzione nel nostro letto diventato meccanico e spento? Non ho voluto che Giorgio fosse in qualche modo un orfano. 

Il teatro è impeccabile e gli attori sono i comprimari perfetti di una scena epica e unica. Le candele bruciano l’aria e i fiori muoiono lentamente con l’odore acre di questa camera di morte. Luigi ha il cappello in mano, forse con rispetto per il luogo…ma non per me: quando restituirai i soldi prestati da due anni? E Celestina stai finalmente zitta, dopo le tante, troppe chiacchiere, le maldicenze in paese? C’è anche Marietta, mia cognata, che prestava la casa agli amanti, quando ero al lavoro…Giorgio ascolta in silenzio la solennità del momento, troppo piccolo per capire? Spaventato, immobile, in un angolo buio, pensoso “Ma quando si sveglia papà?” Vorrei dirti “Davanti alla morte ho avuto paura..ho visto in un lampo l’inutilità delle ambizioni sfrenate, la stupidità dei rancori, l’incanto della primavera e quel mare che lavava con dolcezza le mie preoccupazioni…e i colori nei prati fioriti, un viaggio con l’amore dei vent’anni, Elvira, bella vestita d’azzurro e di sorrisi…e la luna ammiccante a cui affidare le speranze. Davanti alla morte sei nudo, solo con il rimorso delle ore sprecate, con le domande e i perché buttati al vento, con i baci negati, con la malinconia struggente delle cose non fatte. Davanti alla morte non c’è la pace, ma la ribellione per una vita breve, incompiuta. Ma ci sei tu e ti ho scritto una lettera, è là, nel cassetto dei nostri segreti e ricordi “Caro figlio, piccolo e tenero Giorgio, mi dispiace, non potrò vederti uomo con la sicurezza di essere stato voluto e amato. Mi fa soffrire non sentire la tua mano che si affida alla mia nel cammino di un viottolo profumato, nella scoperta della vita. Tenero gioco dei miei giorni, limpido faro delle mie speranze, ho gioito per le tue prime parole, ho imparato la pazienza con i tuoi capricci, ho scalato con te ogni piccola conquista dell’età. Mi dispiace andarmene ora, con il sole indifferente, l’autunno già freddo, ma il mio tempo finisce qui. Sorridi, sorridi sempre con un cuore che ama la vita, forte negli errori, comprensivo e attento con tutti. Accompagnami in questo ultimo viaggio con quel sorriso d’amore. Ti ho amato tanto, figlio mio”

Sigillano la bara. Ora il tempo è compiuto.

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